top of page

Nel nome della madre

“In nome del padre”: inaugura il segno della croce.

In nome della madre s’inaugura la vita.

( In nome della madre, Erri De Luca, Feltrinelli, Collana: I narratori).



Quando ho saputo della mia seconda gravidanza, ho avuto paura.

Paura di perdere e anche rompere. Paura del nuovo, paura dell’amore, paura dello spazio e anche del tempo.

Ho toccato e poi sono annegata , ancora, in antiche e poetiche ferite.

Ho pianto e poi, solo poi, mi sono aperta alla vita. Mi sono concessa di sentire, tremare, di darmi a ripetuti crolli e incredibili riprese.

Essere madre, diventare zolla di terra, luna piena, conca e calice, fare spazio dentro e diventare luogo  in cui la vita si consacra.

Ed è forse per tutta questa potenza, per questo sentirsi parte di un processo creativo universale, che abbiamo paura. Che ci sentiamo nude e fragili.

L’idea culturalmente diffusa della gravidanza e della maternità come momento di piena felicità e realizzazione della donna, sembra non lasciare spazio ad emozioni di paura e tristezza.

Il timore di essere giudicate e non comprese per questi vissuti, generano nella donna  una narrazione interna costellata di pensieri che non possono essere pronunciati, di parole severe e colpevolizzanti in cui spesso è facile annegare.

La nostra fragilità- bellissima e umana difronte alla potenza della vita- diventa così una parte scomoda verso la quale provare vergogna e sentirsi in colpa, una macchia sporca di peccato e inadeguatezza rispetto a quell’ideale di gravidanza e maternità fatto solo di gioia e pienezza.

Una buona madre non deve essere, per forza, sempre felice.

Una madre u m a n a  può chiedersi se forse non fosse stato meglio prima, quando non doveva pensare a nessun altro se non a se stessa.

Può dirlo, può piangere o forse arrabbiarsi, ma poi può tornare ancora nel suo nido, con il cuore nella pancia o tra le braccia vicino al seno e sentirsi parte di  quella storia antica, uguale e sempre diversa, che accomuna tutte le madri di tutti i figli del mondo.

Lo straordinario Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, conia la bellissima espressione di “ madre sufficientemente buona” : una donna vera e autentica, stanca e spaventata, felice e anche triste, consapevole delle sue emozioni e in grado di riconoscere e rispondere ai suoi bisogni così come a quelli del suo bambino.

Vorrei dire questo.

Ad ogni donna che incontro e che è madre, vorrei dire che è normale. Sentirsi a volte tristi o avere paura. Pensare in alcuni momenti di Voler tornare indietro o andare avanti nel tempo.

Vorrei dire che una donna che diventa madre non è “tutta madre”.

Possiamo sentirci fragile. La bussola su cui fare affidamento rimane, anche in questo caso,  la durata del pensiero e dell’emozione, quanto questi pensieri e queste paure o tristezze diventano rigide e sequestranti rispetto ad altre emozioni ed altri sentimenti come l’appagamento e la gioia.

Se sentiamo di soffocare nel ruolo materno, allora l’aiuto di un professionista e un percorso di psicoterapia possono rendere più facile la verbalizzazione di quello che sta accadendo nel sottobosco, aiutandoci a sentire e riconoscere le nostre emozioni per ciò che sono: messaggere di bisogni.

Bisogno di spazio, bisogno di tempo, bisogno di aiuto, bisogno di conforto, bisogno di cura,bisogno di  sicurezza, bisogno di protezione.

Allora sarà possibile una narrazione diversa che non esclude la fragilità ma la racconta. Sarà possibile ritornare alla meraviglia, al seme e alla zolla di terra. Alla creazione e al suo buio.

Alla vita, che fa vita.

Sempre

“Più del giorno ti stupirà la notte. E’ un grande grembo stracarico di luci. Nelle sere d’estate qualcuna si stacca e viene vicino, fischiando. In mezzo a loro passa una via bianca, un siero di latte, quando lo vedrai vorrai succhiarlo. Pensa che io sono una di quelle luci e intorno a me c’è un ammasso di altre. Così è la notte, una folla di madri illuminate, che si chiamano stelle: di tutte loro, solo io tua”.

59 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page