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Francesca Woodman: quando le fragilità si fanno Arte




Inquieta, fragile e tormentata. Francesca Woodman muore suicida all’età di 21 anni lasciandoci le sue fotografie, uno specchio autentico del suo vissuto interiore.

Era il 1981e Francesca si lasciò cadere da una finestra di un edificio dell’East Side. Aveva alle spalle l’ennesimo rifiuto per una borsa di studio e una relazione finita male.

Per Francesca la fotografia è lo strumento utile non tanto all’esplorazione della realtà esterna quanto, invece, l’unico mezzo a sua disposizione per osservare il dolore, il buio, le ombre e le sue fragilità. Come un atto magico tutto viene messo fuori, viene reso reale e osservabile. Le sue opere in bianco e nero sono autoritratti introspettivi, onirici e surreali, inquieti e inquietanti, intimi, malinconici e delicati.

C’è sempre lei: lei in stanze e ambienti vuoti e desolati, abbandonati e cupi che hanno vita, semplicemente, per il fatto che Francesca offre loro una possibilità.

Il suo corpo, molto spesso nudo, si confonde con tutto ciò che la circonda rendendolo difficilmente distinguibile, ma presente.

Sempre.

Un corpo fragile, leggero, pesante, un’ombra volteggiante, un corpo appeso, ripiegato, in volo o disteso sul pavimento. Intorno ad esso oggetti: calcinacci, sedie, carte da parati strappate, specchi, porte e finestre, cocci, tende, teche, calze.

Era bella Francesca . Francesca prendeva lo specchio e guardava dritto in faccia le sue paure. Le voleva conoscere, danzare con loro, le tratteneva.

Purtroppo, mai Soltanto il tempo di uno scatto.

La sua paura ha soffocato ogni possibilità, il dolore era troppo per guardare al piacere di sentire, nonostante tutto, la bellezza che queste fragilità stavano creando.

Quando penso a lei e al suo viso, al suo corpo giovane e bello, mi chiedo come sarebbe stata Francesca, adesso, se qualcuno le avesse accarezzato tutte quante le sue fragilità.

Ha una sua solitudine lo spazio,

Solitudine il mare

E solitudine la morte, eppure

Tutte queste sono folla

In confronto a quel punto più profondo.

Segretezza polare,

che è un’anima al cospetto di se stessa:

Infinità infinita

( Emily Dickinson, Solitudine, 1865)




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