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Felice e imperfetta


“Potevo fare meglio” è una frase che sento ripetere davvero tanto nella stanza della terapia. Le donne che incontro sembrano essere sequestrate da parti interne pretenziose, parti soffocanti e mai oneste ed obiettive.

Fare bene, raggiungere degli obiettivi e crescere e far crescere i propri potenziali sono certamente atteggiamenti positivi che rischiano di diventare sabotanti quando diventano rigidi, quando raggiungere sempre il massimo e la perfezione diventano imperativi categorici e la critica dei risultati non soddisfacenti sono tra le principali voci del nostro teatro interiore.

Vogliamo la perfezione!

E visto che questa non esiste, noi ci condanniamo all’incapacità di sentirci felici, appagate, soddisfatte.

In psicologia il concetto di perfezionismo risale alla fine degli anni ’60. Hollander (1978) definisce il perfezionismo come la consuetudine di chiedere a se stessi o ad altri livelli di performance più elevati di quanto non sia necessario in una determinata situazione.

Possiamo definire  “sana” quella spinta individuale a raggiungere prestazioni anche elevate che, però, una volta raggiunte ci rendono soddisfatte e fiere, orgogliose dell’obiettivo ottenuto.

Il perfezionismo Disfunzionale, invece,ci rende sempre insoddisfatte del risultato e la voce di spicco nel nostro teatro interiore è quella che ripete- severa- “potevi fare di più, di meglio!”

L’errore comune è il credere che più facciamo, più produciamo, più obiettivi raggiungiamo, più aspettative ( nostre o di altri soddisfiamo) più il nostro valore ( e la stima che abbiamo in noi stessi) aumenta.

Così, però, sarà vero anche il contrario: meno facciamo, più errori commettiamo, più falliamo nei nostri obiettivi e meno saremo degni di rispetto, amore o considerazione.

È proprio da questo meccanismo di pensiero che trae nutrimento la nostra voce interiore che critica e giudica. Se ci fai caso essa è quasi sempre legata al fare.

L’ Auto-stima però non ha nulla a che fare con il “fare” e l’essere perfette. L’autostima mi parla del valore che noi ci attribuiamo, della considerazione e del rispetto che abbiamo verso noi stesse, di quanto ci sentiamo degne di rispetto, considerazione e amore. Quanto ci sentiamo preziose.

L’autostima “buona” è il senso realistico di chi io sono, io con le mie debolezze e fragilità , io con la mia forza e le mie capacità. L’autostima “buona” rispetta ogni presunta mancanza, debolezza o fallimento, non giudica, non critica.

La stima incondizionata che io ho di me stessa mi permette di sentirmi imperfetta.

Allora, anziché continuare a fare, fare, fare, potrebbe essere opportuno ridurre un po’ ciò che si fa ogni giorno e ritagliarsi del tempo per  essere.

Hai mai pensato a quanto difficile è regalarsi tempo per stare, riflettere, meditare, guardare la vita in un tramonto, osservare un gatto, un volo degli uccelli.

Sai rispondere alla domanda “chi sei?” senza limitarti al nome, e al lavoro che fai?

Nel prossimo post sul blog vorrei parlarti proprio di “spazio” , di quella zona fatta di confini, di aree di contatto e di ritiro dall’ambiente e dall’altro che scandiscono non solo i nostri tempi interni , ma soprattutto i nostri bisogni.






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