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Eco e il suo mal d’amore

La ninfa Eco, ninfa dei boschi e delle sorgenti, si innamorò perdutamente di Narciso, un giovane superbo e bellissimo che sfuggiva il mondo e l’amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste oppure andando a caccia di animali selvatici. Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce.

Ovidio ci racconta che Zeus spinse la ninfa Eco ad intrattenere con dei racconti la moglie Era in modo da distrarla e permettere a lui di fuggire per qualche consueta avventura amorosa.

La regina dell’Olimpo però si accorse dell'inganno e punì Eco togliendole l'uso della parola e condannandola a dover ripetere solo le ultime parole che le venivano rivolte o che udiva.

E così accadde anche con Narciso. La giovane ninfa prese a seguire il bellissimo giovane e ogni qual volta Narciso parlava, udiva le sue stesse parole duplicate dalla voce di Eco. Quando Eco, ormai folle d’amore, decide di mostrarsi a lui e abbracciarlo, Narciso fugge via.

Respinta, la ninfa torna a nascondersi nel bosco e qui, la vergogna e il dolore del rifiuto, lentamente consumano il suo corpo fino a renderla trasparente. Di Eco rimangono solo la voce e le ossa che hanno preso l’aspetto di sassi. E così, da allora, se ne sta nascosta nei boschi dove continua a rispondere sempre con l’ultima sillaba delle parole che ascolta.


Il vissuto di abbandono di Eco, la mancanza di reciprocità nel rapporto, l’impossibilità di Narciso di amare e di “offrirsi” all’altro, il suo essere sfuggevole, ed uno scenario centrato su bisogni inappagati e comunicazioni vuote si presta bene a spiegare alcuni aspetti non solo delle dinamiche presenti nelle dipendenze affettive, ma soprattutto mette in luce alcuni aspetti di una donna che, come Eco, si imbatte in un uomo “Narciso” vivendo quello che è definito “male d’amore”.

Inizio col dire che se l’attenzione sul maschile- sull’uomo definito “narcisista”- ha da una parte facilitato l’informazione e la comprensione di alcune dinamiche all’interno delle relazioni definite “tossiche” , dall’altra parte può completamente offuscare la responsabilità che una donna come Eco ha nella possibilità si uscire fuori da una dinamica di dipendenza. Prendersi la responsabilità rispetto all’evento non ha nulla a che fare con l’attribuirsi colpe quanto, piuttosto , evitare che queste e la propria insoddisfazione siano esclusivamente attribuite all’altro, a “Narciso” . Farsi carico delle proprie responsabilità, vuol di uscire allo scoperto, dal bosco come nel caso di Eco, e non nascondersi dietro le colpe altrui, ma avviare un processo di consapevolezza e dichiararsi capaci di agire, di muoversi verso altro nel mondo.

La ninfa Eco lentamente si è lasciata consumare dal dolore fino a che di lei, non è rimasta solo la voce. Così anche noi, imprigionate nella rete della dipendenza, alimentiamo la rabbia e anneghiamo nelle lamentele e nei rimuginii , nelle ripetizioni. Bisogna lasciare andare e fare posto alla possibilità di entrare in contatto con le proprie parti sofferenti e ferite, entrare finalmente in ascolto dei propri bisogni.

La mancanza di reciprocità, il bisogno di conferme e di attenzioni sono le costanti di un rapporto disfunzionale. I bisogni e le aspettative verso un partner spesso evitante e sfuggente, attivano una costante rincorsa al soddisfacimento degli stessi e alla possibilità di accettare “briciole”credendole tesori e alimentando, così, sempre più fame.

L’ abbandono che Eco ha vissuto, e la paura di questo, costituisce il fulcro centrale su cui si fonda la necessità di mantenere una relazione anche se insoddisfacente, dolorosa, e priva di quei requisiti basilari su cui si fonda un rapporto “sano”.

La paura dell’abbandono, unita alla vergogna, la disistima e l’ insicurezza in se stesse, il controllo e la gelosia- alimentano l’atteggiamento sfuggente dell’altro che finirà con l’allontanarsi confermando l’inevitabile abbandono. Ecco come la profezia si concretizza.

Come venire fuori da tutto questo? Il primo passo da fare è quello di ricentrarsi, avviare un processo di consapevolezza, osservare alle proprie ferite e assumersi le responsabilità rispetto al ruolo che si è assunto all’interno di quella stessa relazione.

Riconoscersi né vittima, né carnefice. Mettere insieme i pezzi per sentirsi integre, sapere lasciare andare quello che è stato e prendersi cura di quelle ferite che, una volta guarite, ci permettono di entrare finalmente nel presente senza bisogno di ripetere più gli stessi vecchi copioni di una vita intera.


🌬 “Quando però Eco lo vide, sebbene fosse con lui adirata e si ricordasse dell’affronto subito, provò lo stesso un gran dolore, e quante volte il fanciullo disse: «Ahimé!», altrettante rispose intonando la stessa canzone: «Ahimé!». E quando lui con le sue proprie mani si batteva il petto, lei gli rimandava lo stessa cupa percussione.

Le ultime parole che lui pronunciò, tornando a guardare sul pelo dell’onda, furono: «O fanciullo amato invano!», e puntuale lei ne riecheggiò le parole, e quando disse: «addio!», lo disse anche Eco, disse più o meno così: «… io!».”


(Ovidio, Metamorfosi, 3: 339-510)




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